I diritti dei bambini e degli adolescenti (calabresi) in ospedale.
Sabato 13 Aprile 2024 alle 17:00 al teatro Rendano (Sala Quintieri) in Cosenza.
“È offesa se si colpisce una persona scappando senza essere visto, ma se si rimane è anche oltraggio…“
Don Chisciotte a Sancho Panza.
Offendere è negare diritti fondamentali quali quello alla salute, oltraggiare è insistere a farlo, magari codificandole in leggi.
Tutti i dettagli del convegno nella locandina.
Vi aspettiamo.
Don Chisciotte… tra oltraggio e offesa
Mi perdoneranno gli amici spagnoli se mi permetto di utilizzare l’immagine l’hidalgo di Cervantes (qui disegnata da Picasso nel 1955) per presentare il nostro incontro. Ma trovo tante similitudini tra la “missione” di don Chisciotte e la nostra. Entrami combattiamo contro mulini a vento, entrambi abbiamo l’ingenua visione che è quella di un bizzarro o pazzo cavaliere animato dall’idea di combattere per una giusta causa, armandosi infantilmente contro il potere e i privilegi, che spesso sono sordi e ben ovattati.
La “nostra” non è una tipologia di persone ben individuabile, le nostre famiglie non sono indigenti, appartengono ad ogni ceto sociale: sono ricchi, poveri, del cosiddetto ceto medio. Non sono categorie sociali facilmente individuabili (per chiarirci, le categorie necessarie ad attirare l’attenzione delle istituzioni: migranti, donne vittime di violenza, ex detenuti, ex tossicodipendenti…), sono semplicemente “invisibili”. Una famiglia che si trova ad avere un figlio ammalato di cancro semplicemente diventa “invisibile”. E che, come don Chisciotte, verrà arruolato — suo malgrado — a cominciare una lotta contro i Mulini a Vento, che in Calabria sono più numerosi e resistenti che altrove.
Ma è particolare la differenza che don Chisciotte fa tra offesa e oltraggio:
“È offesa se si colpisce una persona scappando senza essere visto, ma se si rimane è anche oltraggio…“.
Offendere è negare diritti fondamentali quali quello alla salute, oltraggiare è insistere a farlo, magari codificandole in leggi.
Franco De Maria
Dai diritti dell’infanzia alla carta europea dei diritti dei bambini in ospedale
In un famoso saggio del 1958, per la prima volta, l’opinione pubblica venne resa consapevole che l’ospedalizzazione per un bambino è sempre un trauma (J. Robertson, Bambini in ospedale, Feltrinelli, I ed. it. 1973).
Robertson dimostrerà con dovizia di prove sperimentali che l’allontanamento dei piccoli pazienti dai propri genitori durante la degenza in ospedale provocava gravi sofferenze mentali. Per quegli anni tale conclusione fu tutt’altro che scontata, dato che persino la pediatria, sulla base di una definizione della stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, era considerata una semplice branca specialistica della medicina generale.
Il bambino era un “piccolo adulto”, con la conseguenza che i problemi psicologici dell’ospedalizzazione erano i medesimi di quelli propri degli adulti.
Per le stesse ragioni non si sentiva l’esigenza di elaborare un diritto speciale dei bambini in ospedale.
Ma se il fanciullo aveva una sensibilità differente da quella adulta e se il ricovero in ospedale gli aggiungeva un ulteriore stato di sofferenza psicologica, sul piano giuridico emergeva, quindi, la necessità di un diritto speciale.
Il riconoscimento dei diritti individuali, tuttavia, da parte di uno Stato o della comunità internazionale è un’attività tanto solenne, quanto priva di effetti pratici, altrimenti non si spiegherebbero le difficoltà, i ritardi e talvolta l’opposizione dichiarata degli Stati a firmare dichiarazioni di tale natura. Benché, come lucidamente scritto da un’autorevole penna: “Che gli individui e i popoli vengano considerati [… ] soggetti di diritto internazionale mi sembra dunque un fatto acquisito; [tuttavia] essi rimangono sforniti delle armi per far valere quei diritti e poteri. Se questi vengono violati o misconosciuti i popoli possono ribellarsi e financo ricorrere alla forza armata, gli individui, invece, rimangono impotenti e devono subire l’arbitrio [… ]” (A. Cassese, I diritti umani nel mondo contemporaneo, Laterza, 1994, pp. 88-89), è certo che le dichiarazioni universali abbiano un valore giuridico fondamentale. Riconoscere un diritto, infatti, significa prima di tutto ammettere la soggettività giuridica della persona, dotata di dignità e individualità proprie. Senza questa prima fase non esisterebbe nemmeno la giuridica necessità di tutela.
Per la stessa ragione fin dalle origini le Nazioni Unite, dopo aver riconosciuto la generica categoria di uomo, ne ha individuato molte altre (le minoranze linguistiche, i migranti p.e.) in un processo molto complesso teso a riconoscere bisogni sempre più specifici. Al di là delle differenze più o meno evidenti che distingue l’uno o l’altro documento, l’aspetto che accomuna tutte queste realtà è proprio il riconoscimento della soggettività giuridica di ciò che si potrebbe chiamare la specificità dei bisogni umani.
È, infatti, attraverso la differenziazione di categorie sempre più strette, in seno alla più ampia di uomo, che il diritto fa emergere lentamente diritti che rispecchiano sempre più i bisogni specifici.
Questo lavoro delle Nazioni Unite non è stato vano, in quanto ha permesso l’introduzione in molti ordinamenti statali di questi documenti, che una volta recepiti divengono diritto interno, tutelato dai Tribunali dello Stato.
Peraltro, almeno a livello europeo, con la costituzione della Corte Europea dei diritti dell’uomo si è riconosciuto anche il diritto di presentare ricorso davanti a un collegio di giudici indipendenti contro gravi violazioni dei diritti individuali. Ciò significa che la carta europea dei diritti fondamentali dell’uomo e tutte le carte di simile natura, sono atti giuridici vincolanti per i governi degli Stati che l’hanno ratificata.
Il riconoscimento del bambino come soggetto giuridico rientra proprio in questo processo di specificazione dei bisogni umani e l’introduzione dei diritti del bambino ospedalizzato un’ulteriore passo avanti. Non vi è dubbio che la tutela della salute rimane l’obiettivo primario, tanto maggiore se coinvolge i bambini.